con tanta pignoleria e lavoro
"Bartleby, the Scrivener: A Story of Wall Street"
Io non so l’Italiano quindi figuriamoci l’inglese. Non ricordo più bene ma saran circa trent’anni che l’ho letto. Ricordo anche che mi appassionò a tal punto il racconto da comprarne anche una versione con testo originale a fianco (che non capivo) e musicassetta con un attore che ne leggeva il testo (non lo capivo ma capivo un po’ di più che leggendo). L’attore ricordo era tal Wolfe e dalla pronuncia mi parve inglese. All’epoca, dell’edizione che stavo leggendo, mi sfuggi la parte bellissima di Celati, scritta a mo’ di introduzione e che a mio avviso è un vero capolavoro. In realtà acquistai il libretto più per un interesse verso Celati che per Melville. Quando leggo un libro tuttavia, io salto le introduzioni ma forse questa la lessi e semplicemente non la capii. Boh. Io, da quella prima volta che lo lessi, se devo far ‘na sintesi, lo trovai buffo. Mi faceva sorridere. Così dopo l’introduzione di Celati che è essa stessa un’opera letteraria che dà conto dello spessore dello scrittore, ho ripreso in mano il testo per rileggerlo.
Ho incluso nella lettura del titolo di Melville (il programma dello scrittore) il sottotitolo (la spiegazione del programma) e già da lì qualcosa non quadrava. Così ho tentato, con pignoleria e lavoro, di spiegare il mio punto di vista. Tutto qua.
Melville costruisce uno specchio deformante: mette in scena un lawyer (che preferisco non tradurre essendo intraducibile in un'unica parola italiana) che parla al presente di un passato, e registra tutto pignolamente con una meticolosità compiaciuta.
Quella pignoleria è un filtro deformante. Il racconto non mostra “lo strano” Bartleby: rivela la miopia della voce narrante e, con sottile ironia, coinvolge proprio il lettore di Wall Street del 1853 nelle stesse “vedute” claustrofobiche del lawyer.
Cornice storica ed editoriale
Il testo uscì in due puntate, anonimo, su Putnam’s Monthly Magazine (novembre–dicembre 1853), poi in volume nei Piazza Tales (1856). Il sottotitolo A Story of Wall Street indica fin dal frontespizio che non è “la” storia, ma una tra le storie possibili del luogo: un’indicazione programmatica che invita a leggere il caso Bartleby come tipico, non eccezionale. Putnam’s parlava a un pubblico urbano medio-alto, abituato a cronache economiche e satire dei costumi e quella storia di Wall Street ironizzava proprio su di lui, il lettore.
Chi è davvero la voce narrante?
All’inizio il lawyer si presenta come uomo “sicuro” che fa un lavoro comodo “fra ipoteche e titoli”, si vanta di essere stato apprezzato da John Jacob Astor. Gli Astor appartenevano ad una delle grandi dinastie di Wall Street dell'epoca. Il lawyer confessa di avere goduto di una sinecura: l’ufficio, allora appena soppresso, di Master in Chancery. Il testo precisa che quell’ufficio è stato “violentemente abrogato dalla nuova Costituzione”, riferimento diretto alla riforma costituzionale del 1846 che abolì la Court of Chancery nello Stato di New York (efficace dal 1847). È un ammicco che i lettori informati dell’epoca coglievano al volo.
Le “vedute” come autoritratto etico
Le finestre dell’ufficio raccontano più del narratore che del mondo: da un lato un cavedio illuminato da lucernario, dall’altro un muro di mattoni “spinto a dieci piedi dai vetri”. L’orizzonte del lawyer è letteralmente un cavedio e il “dead wall” lo riserva agli impiegati. Melville, insomma, mette in scena una coscienza che scambia il proprio angusto campo visivo per realtà.
La pignoleria che deforma
Il lawyer annota minuzie sugli impiegati (Turkey, Nippers) e sul giovane Ginger Nut, incaricato di recare i biscotti. Quando osserva Bartleby, arriva a formulare con aria sapienziale una teoria sulla dieta “a base di ginger-nuts” e sui suoi “effetti” sull’organismo: non capisce l’uomo, interpreta un dettaglio. È l’iperrealismo del suo sguardo a rendere il mondo surreale.
“Preferirei di no”: decifrare una frase invece di capire una persona
Di fronte al “Preferirei di no”, il narratore intraprende un’indagine logico-linguistica, non etica: pretende definizioni, propone compromessi “ragionevoli”, sposta studio e poi palazzo, fino a consegnare Bartleby al carcere. Molta critica ha letto qui il vero punto del racconto: il fallimento della cura, dell’empatia e della responsabilità verso l’altro, più che l’enigma psicologico di Bartleby. La preferenza negativa mette a nudo l’insufficienza della carità paternalistica del lawyer.
Un tranello per i lettori di Wall Street
Poiché il narratore è un “uomo sicuro” di Wall Street, con ufficio al primo piano, stessa aria, stessi muri e stessi giornali dei suoi lettori, l’identificazione è immediata: la “comoda” normalità dell’ufficio è proprio quella del pubblico che legge. Il racconto funziona allora come specchio: chi prende per “mostruoso” Bartleby senza notare l’ottusità del narratore cade nel rivelazione ferocemente ironica che un Melville anonimo gli tende. La città dei muri e dei titoli produce la storia, non solo la ospita.
Linea del tempo essenziale
1846–1847: abolizione della Court of Chancery nello Stato di New York; il Master in Chancery diventa un ricordo recente e ironicamente rimpianto dal narratore.
1853: pubblicazione su Putnam’s Monthly Magazine.
1856: inclusione nei Piazza Tales.
Anni 1919–anni 20: riscoperta di Melville nella cosiddetta Melville Revival (Weaver, Van Doren, ecc.), che rilancia anche Bartleby nella discussione critica del Novecento.
Leggere Bartleby come “una storia di Wall Street” significa riconoscere che l’anomalia non è l’impiegato silente ma lo sguardo dai panorami angusti che pretende di ridurre l’altro a un caso da spiegare. Il protagonista è il lawyer/lettore: l’uomo delle sinecure abolite, dei muri alla finestra e delle preferenze ben educate che, pur “caritatevole”, lascia morire Bartleby senza mai davvero vederlo. È questo lo scarto ironico con cui Melville, nel 1853, pungeva il suo pubblico. Il suo pubblico evidentemente non lo gradiva. Dopo settant'anni Wall Street non era più la stessa. La dinastia degli Astor magari tramontata, però quella storia di Wall Street di Melville è rimasta; ma incompresa, apparendoci quindi per quello che è: un paradosso. Senza il lawyer in fondo, Bartleby non esisterebbe. Non già dunque una storia di Wall Street di uno scrivano, ma quella di uno scrivano e di un lawyer di Wall Street. Messe in relazione.
Chi era dunque Bartleby. Egli a mio avviso era uno che passava. Uno di cui possiamo conoscere quanto sappiamo della persona a cui, trafelati cercando il giusto binario di un treno, chiediamo: "scusi, sa l' ora?". Insomma con quella cortesia sicura che ci fa apparire l' altro come un orologio.
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