tempo

E=mc²

c

Il paradigma secondo cui non esista alcunché di più veloce della luce ha diverse implicazioni:

Innanzitutto si tratta di un escamotage per affermare qualcos'altro. In effetti, essendo la velocità un rapporto tra tempo e spazio, i due elementi richiedono di rimanere distinti, non accorpati in un'unica idea tempospaziale.

Senza un tempo cronologico, difficile pensare esista la Scienza.

Il tempo cronologico esiste ed è misurabile, così come lo è lo spazio. Tempo e spazio sono le due figure archetipiche di ogni pensare razionalizzabile.

Mentre lo spazio è una dimensione percepita, autoesplicata,, così non lo è il tempo. Il tempo è il sale delle storie, siano esse scientifiche o favolose; ne è talmente il sale che si riscontra perfetta identità tra tempo e parola (scritta o detta), frase e quindi senso, senso del tempo, logica razionale del tempo.

In questa luce, la formula E=mc² diventa non soltanto un’equivalenza tra massa ed energia, ma anche una dichiarazione di poetica razionale: c, la velocità della luce, non è più solo una costante fisica, ma un limite epistemologico, un confine concettuale oltre il quale scienza e narrazione si fondono.

Se il tempo è parola, allora ogni enunciato scientifico è già racconto. La cronologia non è solo un metodo di ordinamento: è una grammatica. E come ogni grammatica, ha le sue rigidità e le sue eccezioni, i suoi silenzi e le sue licenze poetiche.

La scienza si vuole fuori dal tempo, ma non può che inscriversi in una lingua, e ogni lingua ha un prima e un dopo. Anche un’equazione è una frase: ha un soggetto, un predicato, una conseguenza. E come ogni frase, accade nel tempo.

Così il pensiero scientifico, nella sua apparente atemporalità, si rivela profondamente narrativo. E c, che pare fissare un limite, apre invece una soglia: la soglia di ogni racconto che voglia dirsi vero, o almeno misurabile. Una soglia oltre cui il tempo non si annulla, ma si dice.

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