La piattaforma di osservazione era ancorata in un punto del mare a latitudine costante, ma la scena sotto di essa non era mai la stessa. Un gruppo di filamenti algali galleggiava nell’acqua, soggetto a correnti, variazioni di salinità e fenomeni di sedimentazione, e non manteneva mai la medesima configurazione per più di qualche istante. Il ricercatore puntò una sonda ottica equipaggiata con un sistema di elaborazione d’immagine ad alta risoluzione sul grappolo di alghe. Voleva analizzarne la struttura secondo i principi della geometria frattale.


Prima acquisì una mappa grossolana dell’insieme di alghe. A quella scala, l’agglomerato appariva come una forma irregolare ma relativamente compatta. Tuttavia, riducendo le dimensioni del campo di misura e aumentando la risoluzione, la sonda iniziò a rilevare sottili filamenti interconnessi in maniera complessa. Ogni livello di ingrandimento rivelava nuove ramificazioni, un pattern auto-simile: non c’era una lunghezza definita da assegnare alla struttura, poiché la misura dipendeva in modo critico dall’unità scelta. La dimensione frattale sembrava essere il parametro adatto per descrivere questa complessità. Non un numero fisso e inalterabile, ma un indicatore di come l’informazione geometrica cambi con la scala.


Il ricercatore, confrontando i dati con il trascorrere del tempo, notò che l’insieme di alghe non era statico: correnti marine e fattori ambientali mutavano in continuazione l’intera configurazione. Non si trattava soltanto di un problema di misura: l’oggetto osservato si ristrutturava incessantemente. Questo comportamento dinamico ricordava, in chiave macroscopica, la logica quantistica impiegata nei modelli subatomici, dove lo stato di un sistema non è una proprietà fissa, ma una distribuzione di possibilità che viene definita solo all’atto della misura. Qui, analogamente, la forma e la dimensione dell’insieme di alghe non erano dati immutabili, ma emergevano dalle interazioni in corso e dalla scala a cui si sceglieva di guardare.


Gli automi di Von Neumann, modelli matematici capaci di generare strutture complesse a partire da regole semplici, offrivano un utile termine di paragone. Se nell’automa una piccola modifica alle condizioni iniziali o alle regole generava configurazioni imprevedibili, così le alghe, sottoposte a variazioni ambientali, producevano pattern geometrici impossibili da ridurre a un’unica misura definitiva.


Alla fine della sessione di acquisizione dati, il ricercatore non ottenne un singolo valore assoluto per descrivere le alghe. Ottenne invece una serie di parametri, funzioni di scala e distribuzioni, che cambiavano nel tempo. Questa molteplicità di punti di vista era più utile di qualsiasi numero singolo, perché riconosceva la natura dinamica e multi-scala del fenomeno. Le alghe fluttuanti e la complessità frattale che esse esibivano non costituivano un problema di misurazione sbagliata, ma un esempio di come la realtà, a differenti livelli, sia irriducibile a una misura definitiva e statica.

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