Dopoprimaora

Stavo passando a fianco al parcol, sulla ciclabile che lo lambisce e all'altro fianco ha una strada cittadina disegnata come un'autostrada oltre la quale c'è una caserma dismessa con basse costruzioni e quest'insieme dà, ora tiro fiato, un inaspettato anfiteatro panoramico da cui guardare il cielo. Alcuni passanti s'eran fermati sul lato ovest a fotografare il cielo. Poco dopo le sette di sera, a metà di settembre e nella mia città, il sole sta per immergersi e si crea quel magico momento in cui i suoi raggi accendono le nuvole per la metà del cielo mentre nell'altra, ancora luminosa, c'è un monocromatismo, tra sfondo e nuvole, di quella tinta speciale che, non so perché, a me pare il vero colore del cielo, quello che io definisco "azzurro". Mia madre stava morendo, si trovava cioè nella condizione che si immagina appartenere ad ogni essere che vive. Ma un po' più in là. Poi non è morta. Lo dico oggi di ieri. Da quel punto d'osservazione percepivo come dentro a una scodella, l'interezza di quel cielo ambiguo e incurante dell'altra metà, quella che completa la scodella in sfera. L'aria frizzante che nel pomeriggio s'era alzata, aveva ripulito il cielo ora terso come raramente accade nella mia città, stirando le nuvole in forma orizzontale ed isolandole così che, la mezza ciotola fiammeggiante, mostrava le nuvole colorate da un'infinita gamma di rossi su uno sfondo blu brillante. Questo fotografavano quelle persone. La mezza scodella rimanente, quella in monocromatismo azzurro, nessun se la filava. Eppure era struggente. Forse anche grazie alla simultaneità con l'altra. Lo dico oggi di ieri.

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